Passo Djatlov: L’orrore tra i ghiacci

Passo Djatlov: riapre il caso più sconvolgente di tutti i tempi.

Ne ha parlato chiunque ed è stata formulata qualsiasi ipotesi, da più di 60 anni il Passo Djatlov, è il mistero più dibattuto al mondo.

Coinvolge chiunque ne senta parlare e il fatto che nessuna teoria trovi fondamento, lo rende di volta in volta più avvincente.
È un caso complicato, ricco di particolari, ambiguità e contraddizioni, in più,ogni indagine svolta aggiunge dubbi e domande.
Escono libri e film,  nascono nuove ipotesi, il web impazza e il governo russo dichiara di voler riaprire le indagini.

Cosa rende questo enigma così interessante?

Ripercorriamo insieme questa vicenda in attesa del capitolo finale.

Grazie al ritrovamento delle macchine fotografiche e i diari, è stato possibile fare una ricostruzione più o meno realistica di ciò che accadde prima della disgrazia.

1959, Russia – Urali settentrionali.
25 gennaio

Un gruppo di giovani escursionisti raggiunge in treno la cittadina di Ivdel’, nella parte settentrionale della Oblast’ di Sverdlovsk con l’obiettivo di raggiungere il monte Otorten.
Successivamente, a bordo di una camionetta, arrivarono a Vižaj, ultimo villaggio abitato prima della destinazione stabilita.

27 gennaio

Iniziano il cammino verso l’Ototren, nel versante orientale del Cholatčachi’, chiamato “Passo del Diavolo” dai Mansi, una tribù indigena che abita la zona da secoli.

Attualmente il Passo del Diavolo ( o Passo della Morte) è stato ribattezzato Passo Djatlov, proprio in memoria della squadra che perse la vita in quell’occasione.

La squadra.

La spedizione, inizialmente, è formata da 10 giovani, 8 uomini e 2 donne, quasi tutti studenti o neolaureati dell’istituto Politecnico degli Urali, precisamente:

-Igor Alekseevič Djatlov, capospedizione, 23 anni

-Zinaida Alekseevna Kolmogorova, 22 

-Ljudmila Aleksandrovna Dubinina, 23

-Aleksandr Sergervič Kolevator, 24

-Rustem Vladimirovič Slobodin, 23

-Jurij Alekseevič Krivoniščenko, 23

– Jurij Nikolaevič Dorošenko, 21

-Nikolaj Vasil’evič Vladimirovič, 23

-Jurij Efimovič Judin, 22

– Aleksandr Aleksandrovič Zolotarëv, 35

Il percorso che scelsero, in quella stagione, era il più complicato, di 3° categoria, ma tutti avevano una buona esperienza tanto di spezioni, quanto di escursioni con gli sci di fondo.

28 gennaio

Jurij Judin, è costretto ad abbandonare il gruppo per via dei suoi problemi al nervo sciatico…fu l’unico superstite!

31 gennaio

I ragazzi raggiungono il bordo di un altopiano, depositano cibo ed equipaggiamento per il viaggio di ritorno ai confini di una valle boscosa e si preparano per la salita.

Alle 17.00 sono appena a 4 km dal punto di partenza, il pendio Kholat Syakhl, mancano 16 km per raggiungere il monte Otorten.

1°febbraio 

Djatlov e la squadra iniziano il percorso decisi a raggiungere l’altro lato del passo ed accamparsi per la notte.

Le condizioni climatiche, già sfavorevoli, peggiorano ulteriormente e in breve si trovarono nel bel mezzo di una tempesta violentissima.

Inutile dire che la visibilità è pari a zero ed orientarsi diviene impossibile, così, involontariamente? deviano verso ovest, in direzione della cima del Cholatčachi.

2 febbraio 

Si rendono conto dell’errore troppo tardi e decidono  di accamparsi sul pendio della montagna per aspettare che le condizioni climatiche migliorino.

Qualcosa va storto…

Risultato immagini per valanga

 

Era stato accordato da Djatlov, in quanto capo spedizione, che rientrato a Vižaj, avrebbe lui stesso telegrafato all’associazione sportiva, ma questo non successe mai.
Il rientro era previsto per il 12 febbraio e dopo alcuni giorni senza ricevere  nessuna notizia, studenti e insegnanti volontari iniziano a cercare i ragazzi.

20 febbraio

Dopo alcuni giorni di ricerca senza risultati, si aggiunge anche polizia ed esercito e le ricerche diventano ufficiali.

Il 26 febbraio

il primo ritrovamento: l’ accampamento abbandonato sul Chokatčachi.

Quando la squadra di soccorso riesce a trovare la tenda, saltano subito agli occhi delle evidenti anomalie:

-La tenda è danneggiata, non solo dalla bufera ed è squarciata dall’interno, presumibilmente con una lama.

-Una serie di impronte porta verso i boschi vicini, nel lato opposto del passo, a 1,5 km a nord-est e si interrompe a circa 500 metri.

-Vestiti, attrezzature ed oggetti personali sono stati abbandonati nella tenda.

-Le impronte mostrano che gli escursionisti sono fuggiti scalzi, ma al momento della disgrazia era in corso una violenta bufera e la temperatura stimata era di – 30° 

…cosa ha spinto la squadra a fuggire in mezzo al nulla?

All’entrata della foresta, sotto un cedro, accanto ai resti di un fuoco di fortuna, il primo macabro ritrovamento, i primi 2 cadaveri.

Jurij Dorošenko e Jurij Krivoniščenko furono ritrovati entrambi scalzi e con solo la biancheria intima.

Tra il cedro ed il campo, altri 3 cadaveri, Zina Kolomogorova, Rustem Slobodin e il capo spedizione Igor Djatlov.

I corpi sono piuttosto distanti l’uno dall’altro, rispettivamente 300, 480 e 630 m dal bosco e la loro posizione suggerisce che si stavano dirigendo alla tenda.

4 maggio 

Gli altri 4 corpi vengono ritrovati  sotto un metro e mezzo di neve in una gola scavata da un torrente ad 1,5 km dal cedro.

 

Tutti i cadaveri riportano anomalie fisiche non indifferenti, che vanno ad aggiungersi ad altri particolari poco chiari di questa vicenda.

 

Scena inquinata ed indagini iniziali approssimative.

Le prime indagini furono un disastro completo e l’esito dell’inchiesta fu insoddisfacente.
L’esame medico svolto sui primi 5 corpi non rilevò lesioni così importanti da essere considerate letali, sul corpo di Slobodin fu trovata una frattura cranica, ma di lieve entità.

In conclusione, le autorità competenti dichiarano che i decessi sono avvenuti per ipotermia e il caso viene archiviato.

 

Nel mese di maggio, con le successive 4 autopsie, il quadro generale si complica, i medici si trovano davanti a qualcosa mai vista prima.
Il corpo di Nikolaj Vasil’evič riporta una grave frattura cranica, Zolotarev e Dubinina, la cassa toracica gravemente fratturata.
Il dottor Boris Alekseevič Vozroždennyj che si è occupato dell’autopsia, dichiara che per provocare tali lesioni occorre una forza paragonabile a quella di un grave incidente d’auto.

I corpi avrebbero dovuto riportare delle lacerazioni cutanee, ma nonostante sembrava fossero stati investiti da una pressione elevatissima, nessuno ha riportato lesioni esterne.
Ljudmila Dubinina, in più era priva di occhi, lingua e parte della mascella.
In un primo momento, le parti del corpo mancanti della donna furono attribuite alla decomposizione, ma a quelle temperature il processo è molto più lento del normale.

Il Passo Djatlov : un’inchiesta senza fine.

L’epilogo odierno è tragico: 9 cadaveri, un caso irrisolto, 60 anni di ipotesi e teorie, tante domande, poche risposte.
Le indagini furono seguite principalmente dalle forze dell’ordine, ma anche i servizi segreti intervennero e solo una parte del fascicolo fu reso pubblico. 

La stampa riuscì ad accedere solo alle informazioni di base:

-6 membri del gruppo morirono di ipotermia 

-3 membri per ipotermia e traumi letali

-nessuna presenza di altre persone nelle aree circostanti 

-la tenda fu lacerata dell’esterno

-tutti i membri del gruppo lasciarono il campo a piedi e di comune accordo

-le vittime sono morte dopo 6/8 ore dall’ultimo pasto

– analisi forensi rilevarono alti livelli di contaminazione radioattiva sui pochi indumenti ritrovati 

-i traumi fatali non potevano essere stati provocati da un essere umano data la potenza

-nessun danneggiamento ai tessuti molli nonostante le fratture 

 

L’inchiesta si concluse alla fine di maggio del 1959 per assenza di colpevoli, i fascicoli (incompleti) furono mandati in un archivio segreto fino agli anni ’90.
Alcune voci smentiscono questa versione affermando che il caso non fu mai classificato.
Ufficialmente, il verdetto finale, è che tutti i componenti del gruppo morirono a causa di una” irresistibile forza sconosciuta “.

Troppi particolari ignorati.

Il docente Jurij Kuncevič, capo della fondazione  Djatlov di Ekaterinburg, durante il funerale fece presente alcuni elementi” sfuggiti”alle indagini.
Un elemento accomuna tutti e 9 gli escursionisti, il colore della pelle, di un bruno intenso decisamente innaturale.

Un gruppo di escursionisti che si trovava a 50 km a sud del luogo dell’incidente, riferì di aver notato quella notte delle strane sfere arancioni in direzione del Cholatčachi.
Anche altri testimoni indipendenti, il servizio metereologico e alcuni soldati, videro delle sfere arancioni a Ivdel’ e nelle zone limitrofe, tra febbraio e marzo di quell’anno con una certa continuità.

Queste anomalie nei cieli vennero attribuite ai lanci di missili balistici R-7, forse la fonte di contaminazione dei vestiti degli escursionisti.
In zona, infatti, furono trovati molti rottami metallici, ciò porta a pensare che l’area fosse stata utilizzata per manovre militari segrete.
Questo spiegherebbe l’intervento del K.G.B. che avrebbe potuto essere interessato ad insabbiare la questione.

Il Passo Djatlov e le 1000 teorie a riguardo.

Subito dopo la prima chiusura del caso iniziarono a circolare tutte le ipotesi possibili, 65 per la precisione.
Sono state fatte ricostruzioni molto interessanti, altre davvero assurde, ma tutte sono state smontate.

Vediamo quali sono le più conosciute…

Il Passo Djatlov, il K.G.B. e le teorie del complotto.

Quando ci sono di mezzo i servizi segreti, si sa, qualcosa c’è sempre sotto e nel 2008 s’è aggiunto un mistero a questa vicenda già così intricata.
Fu condotto un test del DNA(nel 1959 ancora non esisteva), venne fuori che il corpo rinvenuto nella gola non appartiene a Zolotarëv.

Il suo D.N.A. non coincide e appena trapela la notizia, si sparge la voce che sia stato sostituito dal K.G.B. per qualche losca ragione.

Forse i ragazzi hanno visto qualcosa che non dovevano vedere, sono stati fatti fuori e la scena ricostruita ad arte per  distogliere l’attenzione da ciò che il governo nasconde.

I mansi.

Dopo l’ipotesi dei test militari segreti, una delle prime teorie sul caso fu, che gli indigeni Mansi, abbiano attaccato e ucciso i ragazzi per aver invaso il loro territorio.
I  Mansi, in passato chiamati voguli, sono una popolazione indigena di religione sciamanica, parlano il manso, una lingua oburgica/uralica con scrittura cirillica.

La loro economia si basa sulla caccia, la pesca e l’allevamento di renne, hanno un grande rispetto per la natura e sono molto territoriali.
Sono proprio i Mansi ad aver ribattezzato quella zona “montagna dei morti” o “passo del Diavolo”.

Quest’ipotesi non trova fondamento, non sono stati trovati segni di altre persone sul luogo e i Mansi hanno sempre negato il loro coinvolgimento.

Incontri ravvicinati del 3° tipo.

Come abbiamo già visto, in ogni mistero irrisolto che si rispetti, la teoria extraterrestre non può mancare!
Pare che in quella zona ci sia una specie di area 51 e questo spiegherebbe la presenza dei servizi segreti sulla scena.

C’ è anche una versione che vede gli alieni intervenire in prima persona, ma quali sono le prove a sostegno di questa tesi?

In quel periodo, gli avvistamenti di ufo, preceduti o seguiti da sfere luminose arancioni, sono stati registrati in tutto il mondo con una certa frequenza.
Quella zona della Russia in particolare è testimone dei casi più eclatanti di u.f.o., abduction e fenomeni inspiegabili come quello di Tungurska.
L’esportazione di alcuni organi, come lingua e occhi è ricorrente in presunti rapimenti alieni, sia negli uomini che nel bestiame.

L’ultima foto scattata da uno degli escursionisti immortala un bagliore di luce bianca molto intensa.

E se non è stata trovata nessuna traccia della presenza di terzi sul luogo della tragedia, cosa può aver terrorizzato 9 escursionisti a tal punto?

Lo Yeti.

Siamo in Russia e in un caso dove ogni sorta di ipotesi è stata fatta, non si poteva non tirare in ballo lo Yeti!

La ricostruzione, secondo i sostenitori di questa tesi è la seguente:
La squadra, presa alla sprovvista dalla tempesta, allestisce un accampamento di fortuna in prossimità del bosco.
Nel cuore della notte i ragazzi vengono aggrediti da un’ entità enorme dalla forza smisurata.
Si spaventano così tanto da scappare in modo confuso in mezzo alla bufera, questo spiegherebbe la loro fuga semi nudi e in diverse direzioni.

In più la tenda è squarciata dall’interno, uno dei corpi viene rinvenuto senza lingua e mascella, altri con il torace sfondato.
I primi due cadaveri sono stati trovati sotto un cedro dai rami spezzati, come se qualcuno avesse provato ad arrampicarcisi.
Una ricostruzione un po’ forzata, ma ancora oggi, molti credono allo Yeti o al “fratello americano” Big Foot, tanto da dedicare la loro vita a dargli la caccia.

Nel 2014 una nuova teoria per il passao Djatlov. 

Il regista, produttore e autore Donnie Eichart, nel 2014, dopo aver studiato tutto il materiale reperibile e aver raccolto testimonianze per 5 anni, ha formulato una teoria completamente nuova.
Per la prima volta non vengono tirati in ballo complotti o fenomeni paranormali, ma viene fatto un ragionamento scientifico e lineare. Risultato immagini per valanga

Djatlov e la sua squadra si sarebbero imbattuti in un tipo di  tempesta che provoca un fenomeno naturale atipico.
I  venti velocissimi, scontrandosi con la forma a cupola della montagna, creano dei piccoli, ma potenti vortici d’aria.

Questi mini- tornado avrebbero girato intorno all’accampamento creando un rumore assordante e un forte spostamento d’aria.
Il fatto è che queste formazioni vorticose creano degli infrasuoni non percettibili dall’orecchio umano, ma capaci di effetti devastanti sul fisico.
Dopo un certo periodo, infatti, le vibrazioni prodotte provocano mancanza di sonno e di respiro, un panico incontrollabile e allucinazioni.
Il tutto, amplificato dalla situazione, avrebbe fatto perdere la ragione ai ragazzi, creando una serie di eventi a catena.

Donnie Eichar scrisse un libro sui fatti di quel maledetto 2 febbraio, “Dead mountain”, dove illustra la sua ricostruzione nei minimi dettagli.

2 febbraio 2019 il governo annuncia la riapertura del caso.

Forse, queste dichiarazioni sono nate più  per far notizia che per amore della verità e molto probabilmente non ci sarà mai una risposta.
Ma il blogger russo Valentin Degterev si occupa di paranormale e, per l’anniversario della tragedia e la riapertura delle indagini, ha proposto una nuova versione.
Grazie alle immagini satellitari ha notato un cratere largo 30 metri formato dall’impatto con un missile nucleare a corto raggio.

L’arma, colpendo prepotentemente il granito ha formato un’onda d’urto tale da svegliare gli escursionisti.
La luce intensa ha provocato una cecità temporanea e una situazione di panico tale da spingere il gruppo a una fuga improvvisa e sconclusionata.

Ciò che è avvenuto in seguito rimane un mistero.

Il Passo Djatlov ci darà mai delle risposte?

Ci sono teorie molto più bizzarre, altre più scientifiche ed argomentate, ma nessuna riesce a spiegare tutti i punti oscuri di questa vicenda.

Il Passo Djatlov fa parte dei 1000 mille misteri provenienti dalla Russia, la terra dei misteri.

Si continuerà a parlare di questo caso per molto tempo, ma cosa sia successo veramente rimane custodito nei boschi del monte Cholatčachi.

“In natura non ci sono né ricompense né punizioni, ci sono solo conseguenze “

                   Robert Green Ingersoll

 

 

 

” La natura selvaggia conosce le risposte che l’uomo non ha imparato a porre”

                          Nancy Newhall

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